La tradizionale differenza tra maschi e femmine non è dovuta a fattori innati, bensì a condizionamenti culturali che l’individuo “subisce” nel corso del suo sviluppo.
La cultura alla quale apparteniamo si serve di tutti i mezzi a sua disposizione per ottenere dai due sessi il comportamento più adeguato ai valori che le preme conservare e trasmettere. In realtà non esistono qualità maschili e qualità femminili, ma solo “qualità umane”.
La socializzazione al genere, secondo alcuni studi, incomincia già nella vita intrauterina, nella vita prenatale, nel momento in cui la famiglia che accoglierà il futuro pargolo comincia a pensare alla propria prole in termini distintivi a seconda sappia se questo sarà maschio o femmina.
Questa socializzazione al ruolo sessuale così precoce, si enfatizza lungo tutto l’arco della vita, grazie al rinforzo della società in cui viviamo.
Pensiamo ad esempio ai giocattoli che vengono regalati in tenerissima età: alle femmine la bambola, dunque l’idea della donna come madre, della donna che accudisce, che si prende cura, mentre ai maschietti i soldatini, la capacità di dominio e pianificazione,oppure la macchinina, la vincita e l’impronta alla competizione.
Nei giochi dei piccoli e nell’uso che fanno dei giocattoli è evidente la riproduzione della realtà sociale in cui vivono.
Bimbe e bimbi differiscono anche nello stile ludico.
Maggior aggressività, sforzo muscolare, ricerca di un’azione intensa nel maschio; preponderanza dell’aggressività verbale ma calma, stabilità, sottomissione docile e quasi voluttuosa alle costrizioni formali nelle femmine.
Sono noti anche i rituali rassicuranti e ripetitivi in cui si rifugiano molte bambine che sono state oggetto di repressioni a causa della loro vitalità, curiosità e mobilità ritenute eccessive.
Parlando dell’abbigliamento, l’uso generalizzato dei pantaloni fin da piccole e la conseguente maggiore libertà di movimento hanno certamente reso più accessibile certi giochi “maschili”, che fino a pochi anni fa erano impediti dall’intralcio delle gonne; inoltre ha cambiato non poco il codice dei gesti e atteggiamenti permessi e vietati.
Nonostante questo, una bambina vivace, creativa, piena di energie, quando si misura nei giochi cosiddetti di “forza” con i maschietti, prova sempre un sottile senso di disagio e di colpa; sa oscuramente di non essere approvata, di deludere le aspettative altrui. Nessuno si rallegrerà che lei sia combattiva e coraggiosa: si preferirà sia più docile e conformista. Lo sviluppo femminile può a ragione essere definito una “frustrazione permanente”.
Gli stereotipi di genere, dunque, si sedimentano e si consolidano nel tempo, anche per quello che riguarda la professione, già dalle scuole primarie, condizionando eventuali scelte sul corso di studi e della carriera lavorativa.
La nostra cultura attribuisce ad alcuni lavori un fiocco azzurro e ad altri un fiocco rosa, precludendo e restringendo al soggetto un possibile ventaglio di scelte.
Basti pensare a lavori tipicamente “femminili”, come la baby-sitter, l’insegnante, l’infermiera, e tipicamente “maschili”, come il meccanico, l’astronauta, l’uomo d’affari. In questo modo, lo sviluppo come persona ne viene deformato, moltissime qualità vengono distrutte nel processo di immissione forzata negli schemi maschio-femmina.
Il bisogno di realizzare se stessi come individui, l’autoaffermazione, il desiderio di autonomia e di indipendenza, la cui mancanza si rimprovera nelle donne, al momento delle scelte fondamentali hanno già subito dure scosse, avvenute fin dalla primissima infanzia.
L’operazione da compiere è restituire ad ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo a lui più congeniale indipendentemente dal sesso a cui appartiene.